A cinque anni dalla nascita della nostra Associazione, abbiamo sentito l’esigenza di avviare una riflessione ripartendo dal nostro Manifesto.
Nel testo, abbiamo individuato alcune parole particolarmente significative e sintomatiche dei mutamenti epocali che la società e le coscienze individuali stanno attraversando. Per le ragioni stesse che ci hanno associato, è per noi fondamentale e necessario, riuscire a condividere questa riflessione attraverso il confronto con gli altri, fuori dal nostro contesto associativo.
Per facilitarne la lettura, abbiamo pensato di proporvi, di volta in volta e di settimana in settimana, i termini individuati con i relativi commenti.
Fiduciosi, vi invitiamo caldamente a visitare il nostro sito e a dire la vostra. Qualsiasi siano le vostre risposte, saranno per noi un contributo davvero molto prezioso nella direzione di un'indagine conoscitiva sullo stato delle cose riferite ai grandi mutamenti in atto.
Il Presidente
Rita Pedonesi
Associazione “in tempo” - Parole nel nostro Manifesto sulle quali riflettere:
mutazione; comunicazione; profondità – superficie; spaesamento; silenzio – rumore; velocità; ascolto, virile non virile. Testi di: Danilo Maestosi, Ida Mitrano, Carla Mazzoni, Rita Pedonesi, Franco Ferrari.
Danilo Maestosi
Profondità-superficie
Per chi percorre i sentieri della pittura la superficie è il porto di partenza. Segni e colore sono il sigillo con cui si impadronisce di questo spazio: una tela, un foglio, una tavola, un muro da affrescare. Per trasformarlo, modellarlo, esplorarlo, adattarlo a propria misura. Aprircisi un varco. Perchè il demone che ossessiona l’artista che abita questo universo a due dimensioni è trovare il passaggio segreto verso una terza dimensione, quella che qualunque oggetto occupa nella realtà. L’artificio più rigoroso verso questo aldilà fù l’invenzione della prospettiva, quello più azzardato il taglio delle tele di Fontana, quello più tecnologico lo spettro dell’ologramma. Avvicinamenti geniali, niente più perchè entrambi inseguono l’illusione, la complicità del come se. La profondità come geografia dell’impossibile. Ecco dunque una seconda profondità con cui ogni pittore deve fare i conti, quella che racchiude il mistero stesso, il senso, la verità della sua arte. E’ la soglia da attraversare se non si vuole restare imprigionati dentro la grotta della superficie. Una sistemazione protetta di cui molti si accontentano: la pittura come decorazione, l’apparenza e la virtualità come unico metro del reale. Sono gli artisti della resa che si rassegnano all’evidenza del mondo o della sua riduzione a puro concetto, a volte solo enunciato: le schiera delle pop art e del minimalismo ne sono piene. Artisti che rinunciano in partenza a cimentarsi con la propria sconfitta, la morte sempre dietro l’angolo, a non levar mai l’ancora e mettersi in viaggio verso il mistero. Mistero che è sempre più compito primario, territorio privilegiato della pittura, in una società che ha perso bussole, in un universo della comunicazione che separa l’uomo dalla propria essenza, lo sottomette al bombardamento di immagini, a una velocità da robot rassegnati e ammaestrabili, ad una vita di superficie, ad una logica di sistema che ha annichilito anche la pittura, aumentando la distanza tra l’opera d’arte e il pubblico che dovrebbe fruirne. Unica via d’uscita è tornare a immergersi , tuffarsi verso il fondo scendere dove l’impulso vitale è magma indistinto e non addomesticato. E offrire nelle proprie opere gli echi i rimbalzi di questi palpiti, questi frammenti di senso in gestazione.
Mutazioni.
Guai confondere questo termine, che attiene nella sua accezione comune alla sfera delle genetica e agli scenari della lotta per la sopravvivenza della specie disegnati dal darwinismo, con quello di cambiamento che accompagna tutte le nostre esperienze individuali e collettive di essere umani. Certo la condizione umana sta cambiando a velocità vertiginosa, scienza e tecnologia continuano a proporci mutamenti in tutte le direzioni. A imporci svolte che consideriamo epocali, perchè alterano il nostro modo di rapportarci con il mondo, con gli altri e con noi stessi. Generano linguaggi che dobbiamo padroneggiare per non porci fuori dal flusso della Storia, non perdere il contatto con le generazioni successive. Ma evocare il termine mutazione, che sa di trasformazione definitiva come guadagnare o perdere un proprio arto, per segnalare il nostro sconcerto può comportare il rischio di confondere il tempo dilatato che scandisce l’evoluzione della Specie con quelli mordi e fuggi della nostra esistenza e della nostra adattabilità. Cavalcare la paura che genera mostri, trasformando i mutanti in alieni, invece che l’ansia rigenerante della profezia.
Ida Mitrano
Ascolto
“Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili” (Marianella Sclavi). Ascoltare non è un atto superficiale, al contrario è un condicio sine qua non dell’apertura al “ non sapere”, a ciò che non si conosce e ciò che è inconoscibile. Dovrebbe far parte della formazione culturale di tutti.
L’esperienza dell’ascolto consente di entrare in relazione con l’altro (con l’opera) ma richiede spaziosità. Si crea la condizione dell’ascolto quando si riesce a fare vuoto dentro sé per fare spazio all’altro, ad altro, nella direzione del processo generativo. Nell’esperienza dell’ascolto diventa possibile cogliere il “nuovo” solo connettendosi al dinamismo creativo che produce l’opera, con l’opera nel suo farsi.
L’ascolto non è un atto passivo, al contrario richiede attenzione, partecipazione. L’interattività con l’opera è autentica, non è manipolata da intelligenze artificiali cui è affidato il tempo e la gestione emotiva dell’incontro con l’opera.
Ascoltare è un atto complesso. Richiede un silenzio interiore per cogliere quei segnali “che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze” (Marianella Sclavi), eppure così significativi nel loro essere degli input di svelamento dell’opera e dell’uomo.
Compito dell’artista è scuotere l’altro, non sedurlo. Da dentro di sé a dentro l’altro nel dialogo con l’altro, nel quale si manifesta il “non detto” dell’opera.
L’ascolto è dunque un processo esso stesso, un dialogo a tre: l’artista, l’opera,
il fruitore.
Ideogramma cinese della parola “ascoltare”
Secondo la cultura cinese, l’ascolto richiede cinque elementi: da un lato, l’orecchio; dall’altra l’occhio, l’importanza dello sguardo e della relazione (“l’altro”), l’attenzione unitaria (“il qui e ora”) e il cuore (partecipazione, comprensione, accettazione profonda).
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Necessità
Più che un input, è un vero e proprio motore di ricerca fondamentale nei processi della vita. La condizione dell’artista nasce dalla necessità, senza la quale l’opera non ha forza espressiva, potenza generativa.
Necessità come esigenza assoluta, come impossibilità di essere altro o fare altro, di essere diversamente da come è. “Un’opera d’arte è buona, s’è nata da necessità” (Rainer Maria Rilke)
Ritengo che arte-necessità sia un binomio imprescindibile. L’arte è assolutamente necessaria e nasce da necessità.
Carla Mazzoni
Ascolto – Rumore – Silenzio - Velocità
La velocità nei nostri ritmi viene anche definita "tirannìa dell'istante".
Abbiamo eliminato la memoria del passato e la cultura della velocità c'impedisce di progettare il futuro. Dobbiamo vivere quel qui e ora che fugge velocemente. Si parla di "rinegoziazione del tempo". Anche l'apprendimento deve essere rapido e, meglio se presto dimenticato così da rendersi disponibili al nuovo che incalza.
La cultura del qui e ora premia la velocità e non può permettersi il lusso di praticare l'ascolto sia del sè che degli altri. C'è grande frastuono, perché tutti alzano i toni per catturare l'attenzione degli altri nella tirannia dell'istante e rendersi visibili laddove la visibilità quasi sempre si ottiene solo con il successo economico.
Mutazione – Profondità – Superfice
Abbiamo anestetizzato i nostri sensi e smarrito il rapporto con le cose, delle quali
riconosciamo solo il significato che praticandole gli abbiamo attribuito.
Abbiamo perso quell'emotività, quella compromissione affettiva che ci dava il senso della vita e delle cose. Viviamo come individui insensibili, e la nostra vita è diventata priva di pathos e di senso. Possiamo definire questa mutazione come una patologia delle società occidentali nella modernità..
Rita Pedonesi
Mutazione
Nel manifesto si fa riferimento a segnali inquietanti nei processi mentali considerandoli non come momentanee patologie, ma come mutazioni irreversibili, organiche all’attuale modello di sviluppo delle società occidentali.
Alla luce dell’approfondimento etimologico del termine mutazione e di una più attenta rilettura del nostro manifesto, trovo che il termine sia significativo, ma azzardato per alcuni, dei grandi mutamenti in atto che stanno sconvolgendo non solo le coscienze, ma l’intera Unità psico –fisica degli individui. In questo quadro, l’aggettivo “irreversibili”, riferito alle mutazioni, è solo un rafforzativo del termine, dato che le mutazioni si definiscono tali, proprio in quanto irreversibili.
Per quel che ci riguarda, un’indagine conoscitiva sullo stato delle cose pone innanzitutto un interrogativo: si tratta o no di vere e proprie mutazioni dei processi mentali? Se così è, quale potrà essere il loro esito sul destino della specie? Considerando quel che sappiamo dal punto di vista biologico, le mutazioni di solito portano un difetto funzionale, talvolta, invece, un vantaggio per l’organismo mutato.
Sappiamo anche che un carico mutazionale eccessivo può portare alla morte o all’estinzione della specie. Ora in rapporto a questi grandi mutamenti che stanno sconvolgendo le coscienze individuali, ne percepiamo l’ampia portata e la dimensione sintomatica di ciò che stanno producendo dentro e fuori di noi. Rispetto a questo disagio alcuni, ed io mi sento tra questi, si sentono spinti, forse geneticamente, in modo più o meno consapevole, dalla necessità di sentirsi simili a degli “anticorpi” capaci di opporsi a ciò in cui non si riconoscono e che avvertono come minaccia per la specie. Percepiamo di aver individuato una strada attraverso la connessione, l’ascolto interiore di quei sintomi e in un confronto aperto e creativo con gli altri, intravediamo la possibilità di rincontrare, identificare e difendere, quelli che Ennio Calabria definisce molto bene come i “fondamentali dell’Umano”.
Siamo consapevoli che il mistero dell’arte, in primo luogo, può sondare, scandagliare, ciò che, al di sotto della nostra coscienza consapevole, non è ancora verbalizzabile e inviarci segnali di orientamento da questa dimensione.
Profondità – superficie
Ci sentiamo nostro malgrado appiattiti su tutto quello che ci è indotto come necessità dalla società della “superficie”. Sentiamo il disagio di ciò che non ci appartiene, la difficoltà di sottrarci a quei meccanismi che come strade obbligate hanno escluso il nostro universo interiore, misterioso e profondo, ma attratti e impauriti da questa profondità sconosciuta, avvertiamo che la bussola del nostro orientamento la possiamo percepire attraverso la nostra vera necessità: quella di connetterci con questa profondità creativa per dare voce e corpo, agli input che ci invia.
Ascolto
Sempre nel manifesto si legge: “Ci associamo come premessa fondativa di una società alternativa capace di ascolto, in opposizione alla grande società che non ascolta.” E alla fine “vogliamo aiutare queste latenti comunicazioni, oggi inascoltate, a trovare espressione e cittadinanza nella cultura sociale riconosciuta.” In ogni contesto, penso che la sola cosa capace di connetterci con ciò che è sconosciuto e in grado di farci percepire e comprendere, ciò che stiamo vivendo dentro e fuori di noi, è proprio l’ascolto. Certo, non è una pratica facile, ma la ritengo davvero indispensabile per farci uscire da una dimensione autoreferenziale sterile e narcisistica. Credo che ci si possa predisporre all’ascolto, la via del Dharma l’insegna, innanzitutto ponendosi con un intento sincero, cercando di creare in noi uno spazio che accolga noi stessi e gli altri, per riuscire a vedere, rivedere, riconoscere e, a poco a poco, lasciare andare i nostri pregiudizi, quelle false certezze, quegli appigli che servono solo da scudo per tentare di tenere a bada le nostre paure che, se inascoltate, ci sopraffanno e annientano la nostra libertà.
Franco Ferrari
Mutazione
Ci sono molti tipi di mutazione, quella generazionale, quella culturale, quella antropologica, oggi anche quella sessuale, ecc. La stessa storia dell’uomo è un lungo e inarrestabile processo di cambiamento. Oggi, nella società è in atto una vera e propria radicale mutazione le cause sono molteplici e complesse come: la diffusione delle nuove tecnologie, i nuovi stili di vita, gli sconvolgimenti mondiali, la supremazia della finanza sull’economia, le guerre diffuse, l’immigrazione, ecc.
Su quanto sopra detto sono state fatte infinite analisi, pertanto mi limiterò a dire altro facendomi una domanda: C’è qualche cosa nell’uomo che non sia soggetto a mutazione?
Faccio solo una breve riflessione basata sulle mie esperienze introspettive e di vita senza per questo voler pretendere di esprimere alcuna teoria. Scandagliando, per quanto umanamente possibile, nelle ombre che si aggirano nel buio indefinibile dell’inconscio e cercando di ragionare sul filo della ragione, credo di aver intuito che una cosa non può mutare negli individui; il proprio “essere”, la dimensione divina dell’uomo, questo nucleo originale e originante che non può mutare in quanto esso è già comprensivo di tutte le mutazioni possibili ed è quello che caratterizza l’essere umano e che rende gli individui unici e irripetibili. Questo è ciò che siamo e che saremo, di là dalle tranquillizzanti auto-definizioni o dei preconcetti devianti che di volta in volta acquisiamo come conclusi. La frase che riassume mirabilmente questo concetto è “La verità siamo noi, non i nostri pensieri” .
E’ difficile “divenire ciò che si è” e per quanto tentiamo di farlo, non ne avremo mai piena coscienza; la “verità dell’essere” non ci è dato definirla concettualmente né di immaginarla. Se ne può intuire vagamente solo il suo parziale svelamento.
Solo nell’arte può emergere, attraverso la forma del soggetto e in maniera misteriosa, parte di quella “verità dell’essere” che è individuale e assolutamente soggettiva ma che è anche sintomo dei processi di cambiamento in atto non ancora precisabili. Quei sintomi potranno palesarsi attraverso l’opera e venire percepiti al di là di ogni tentativo di definizione o di interpretazione verbale.
Da pittore pertanto ritengo che gli artisti siano chiamati a un difficile e nuovo compito: affrontare la sfida inedita che si presenta oggi in una società in radicale cambiamento, operando in quel difficile equilibrio tra consapevolezza e inconsapevolezza orientandosi nell’incontro tra pensiero e creatività dell’interiorità, abbandonando qualsivoglia vecchio concettualismo e i fuorvianti preconcetti.