Manifesto


Video-manifesto 



Associazione Culturale   in tempo


MANIFESTO


Siamo laici e sappiamo che non esiste una metastorica immagine dell’uomo, ma che essa è quella che la storia ci consegna di volta in volta.
E poiché l’immagine che ci sta di fronte ci è del tutto estranea, pensiamo di avere tutto il diritto d’opporci a tale realtà, non in nome di principi o di astratte ideologie, ma per il fatto stesso che esistiamo e che ci sentiamo da essa diversi.

Ci troviamo insieme come gabbiani sulle spiagge, che non si accordano prima, ma s’incontrano ciascuno stimolato solo da un comune contesto atmosferico.

Ci aggreghiamo come espressione vivente di un complesso malessere, come ‘discontinuità’ rispetto agli automatismi omologanti del sistema in cui viviamo. Riteniamo tale malessere una realtà oggettiva pesante, un fatto e documento sintomatico d’un esilio imposto alla nostra complessità dal sistema di relazioni d’una società, che vive invece solo la dimensione della ‘superficie’.

Ci associamo come premessa fondativa di una società alternativa, capace d’ascolto, in opposizione a quella ben più grande, che non ascolta.

Ci proponiamo come opportunità di riflessione, non condizionata dai normali canali della comunicazione, che antepongono il valore espositivo a quello reale.
Siamo contro quel mortifero rapporto tra informazione e strumenti dei mass-media, dove si omologano l’identità e le sensibilità individuali e che, sostituendo ai valori precari enfatici ‘ipervalori’, falsificano la percezione della realtà.

Ci presentiamo come collettività in progress, impegnata nell’indagine su tale stato di cose e su processi mentali che riteniamo attraversati da segnali inquietanti.
Non li vediamo, tali segnali, quali espressioni di patologie sociali momentanee, ma quali espressioni di mutazioni, che tendono all’irreversibilità e soprattutto organiche all’attuale modello di sviluppo delle società occidentali.

Avvertiamo la latitudine delle implicazioni culturali, etiche e psicologiche, che i mutamenti in atto determinano e che tali sono, da rendere obsoleti ormai i codici interpretativi fornitici dal contesto sociale.

Pensiamo che i contenuti, che stanno emergendo dall’attuale relazione fra incertezze delle coscienze e pragmaticità delle regole, si presentino come veri ‘sintomi’ di un senso che, per poter essere percepito, debba essere considerato come intrinseco significato di un’esperienza che viene a porsi di fronte allo sfaldamento di ogni riferimento certo.

Sappiamo che ogni posizione di pensiero, che si proponga oggi come certezza, viene subito relativizzata: una crisi, questa, del concetto stesso di certezza, la cui presunzione di stabilità nel tempo non sopravvive al farsi e disfarsi dei rapporti di senso in tempo reale.

Sappiamo che, in questa dissoluzione dei grandi orientamenti condivisi, la coscienza delle future generazioni, per assenza di orientamento e già nel suo primo formarsi, non riceve più una base certa di valori, determinandosi invece attraverso imprevedibili e veloci impatti con la vita.

Pensiamo che oggi l’individuo abbia fisiologizzato il suo pensiero che, di conseguenza, distaccato da ogni ideologia progettuale, si pone al servizio del  mutevole dinamismo della vita che diventa, nell’immediatezza dell’esperienza, motore dell’organizzazione del pensiero. Sicché è lo stesso processo del vivere che si pone oggi come base per una nuova e vera domanda.

Poniamo allora il travaglio di una coscienza individuale come modo e luogo importanti di recupero di verità, contro la rappresentazione di una presunta verità della coscienza collettiva che percepiamo oggi come falsa coscienza, dove ‘vero’ e ‘falso’ si interscambiano senza scandalo.

Consideriamo parti sociali dell’individuo tanto la sua ragione consapevole quanto la sua inconsapevolezza, perché entrambe determinano effetti sull’ambiente e, nel loro interagire, rendono l’individuo testimone forte dello stato delle cose.
Convinti che le problematiche sociali oggi emergenti richiedano il contributo anche di quelle attività della psiche fin qui ritenute laterali, consideriamo fondamentali queste parti nella ricostruzione della coscienza stessa, nella percezione dei valori e, insieme, bisturi intuitivo che agisce nelle dimensioni magmatiche dei processi mentali, dove si pongono in nuce i presupposti del pensiero e dei concetti.

Identifichiamo nella concreta esperienza del processo creativo e nelle diverse modalità con cui esso si presenta, nelle sue varie discipline e nella società stessa, l’humus fondante ed ispirativo nell’esplorazione conoscitiva della natura dei  grandi mutamenti che investono e trasformano i processi mentali.

Vogliamo che il punto di vista generato dall’esperienza dei processi creativi della cultura e dell’arte e dalle loro dinamiche nella determinazione del senso, guidi un’ampia aggregazione di intellettuali, artisti e cittadini, che possano così porre in campo la propria visione introspettiva del mondo e le loro percezioni del reale, nel segno d’un loro reciproco confronto e con la società stessa, in quanto tale.

Pensiamo che l’alta velocità degli scambi sociali determini un’articolazione del tempo che rende inevitabilmente ‘remota’ la presenza delle culture precedenti.
Per questo, nel farsi della nostra esperienza, non può più esserci continuità praticabile con le culture del passato anche prossimo, ma solo ‘reincontro’ necessario, per recuperarle ad un livello di effettiva comunicazione  e non solo quale pura informazione.

Dichiariamo che il vivente oggi debba tornare ad essere il ‘padre’ del suo libro e che lo spaesamento sia l’arma del suo nuovo protagonismo  creativo.
Spaesamento ed autoreferenzialità sono conseguenze della perdita di credibilità dei grandi riferimenti oggi relativizzati. Dissolto quel piano interpretativo, collettivamente condiviso, che forniva il significato dei fenomeni, questi impongono ora all’esterno il senso del loro stesso esistere. 

Sotto un tranquillizzante conformismo, spaesato, l’individuo si ripiega al suo interno, per cercare l’orientamento che l’esterno gli nega.
Rotta la condivisione collettiva entro cui si determinava l’identità, l’individuo, per proteggerla, minacciata com’è ora dal rischio dell’omologazione, si fa autoreferente.

Spaesati, vogliamo confrontarci con lo spaesamento degli altri. Autoreferenti, vogliamo sperimentare strategie per costruire relazioni tra autoreferenti.

Sappiamo che l’orientamento non è programmabile, ma potrà ‘accadere’.
Siamo consapevoli che l’individuo autoreferente è come un ventriloquo che usi l’aria interna con cui poter parlare di sé all’esterno; è proprio questo ciò che vogliamo sollecitare per avviare una relazione tra esperienze oggi coesistenti ed estraniate,  spesso chiuse in un vuoto presenzialismo e nell’esaltazione del proprio impatto espositivo.

Riteniamo questa la strada per riproporre un pensiero che, nella sua forma, inedita rispetto al passato, possa superare il limite del nozionismo, nel quale va collassando il concetto di cultura, e possa consentire di riconoscere nel diverso da la propria continuità.

Vogliamo indagare i dinamismi psichici latenti, che, al di sotto del conformismo diffuso, agiscono quale sottofondo, di valore sintomatico e causale, in quei comportamenti e linguaggi convenzionali, ai quali soltanto la società consente oggi rappresentazione.

Vogliamo, infine, aiutare queste comunicazioni, oggi inascoltate e latenti, a trovare espressione e cittadinanza.


Roma, 09/01/2009


                                                                                                                                                                                

                                         MANIFESTO  in tempo

We are laic individuals and we know that a meta-historical image of the man doesn’t exist, but this  image is the one that  history delivers us from time to time.
As the image of the  man we are looking at is extraneous to us, we believe we have the right to oppose such a state of things, not in the name of principles or abstract ideologies, but for the fact we exist and that we feel different.

We meet as the gulls on the beach that gather without a previous accord, but each of them stimulated only by the same atmospheric context.

We are gathering as the living expression of a complex discomfort, as  a 'discontinuity' from the confirming automatisms of the system we are living in.
We consider this discomfort a heavy objective reality, a fact, a symptomatic document  of our complexity exiled by the relation system of a society that, on the contrary, lives only the dimension of the 'surface'.

We are associating as a first step to found an alternative society, able to listen, in opposition to the far  wider society, that doesn’t.

We propose ourselves as an opportunity of reflection not conditioned by the normal communication channels, which place the value of exhibiting before the value of reality.
We are against the deadly relationship between information and mass-media instruments, in which the identity and the sensitiveness of individuals are homologated, and that, replacing the emphatic precarious values in 'undervalues', falsify the state of things.

We introduce ourselves as a collectivity in progress, engaged in a cognitive investigation on such a state of things and on the processes of our mind that we think are crossed by alarming signals.
We don’t consider such signals as  expressions of  temporary social pathologies, but as expressions of  mutations, trending to  irreversibility and  moreover as  expressions organic to the present model of development of the western societies.

We perceive the latitude of the cultural, ethical and psychological implications, that the present changes produce and that are such to make  the interpretative codes,  provided us by the previous social context  by now, obsolete.

We think that the possible contents, emerging from the present relationship between uncertain consciences and pragmatic rules, look like 'symptoms' of a sense that, to be perceived, must be considered as an intrinsic meaning of an experience put in front of  the  flaking off  of sure reference.                                                                                                                                                                                                                                                                  

We know that every proposition of thought, proposed today as certainty, becomes relative in a short time: this is a  crisis of the very concept of certainty, whose presumption of a temporal immanence cannot survive to relationships of sense that  rise  and fall to pieces in real time.

We know that in this dissolving of the great shared orientations, the  conscience of the future generations, for the absence of a previous orientation and in its  former forming, doesn’t receive a certain base of values anymore, but it will be shaped through the fast and unpredictable impacts  with life.

We think that today the individual makes  his thought physiological, therefore it, detached from every project ideology, places itself at disposal of the mutable dynamics of life,   life that, in its own psychophysical experience, becomes the motor of the thought organization. Thus today the very living process is the base of the new and true question.

So we set the suffering of  individual conscience as an important way and place  of    recovery of truth, at the place of the representation of a presumed truth of collective conscience that today we perceive as a false conscience, within which 'true' and 'false' exchange without scandal.

We consider social parts of the individual both his aware reason and his unawareness, as they both cause effects in the environment and, in their interaction, they make the individual a strong witness of the state of things.
Convinced  that today the emergent social problems themselves ask for the contribution of those psychical activities till now considered lateral to the territory of  the conscience , we believe these  activities fundamental parts in the reconstruction of the conscience itself, in the perception of values and, at the same time, intuitive bistoury of the magmatic dimensions of mental processes, which contain in nuce the presuppositions of the thought and the concepts.

We identify, in the concrete experience of the creative process  and in the different ways in which it introduces itself in the various disciplines and in the society, the  founding and inspiring humus, of a knowledge exploration about the nature of the great changes investing and transforming the mental processes.

We want the point of view, produced by the experience of the creative processes of culture and art and by their dynamics in the sense identification, to drive a wide aggregation of intellectuals, artists and citizens who set in field their own introspective vision of the world and their perceptions of reality, in the sign of the comparison between them and the society itself.

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We think that the high speed of social exchanges produces an articulation of the time                                            
that inevitably makes the temporality of the former culture 'remote' to us.
This is the reason why, in the becoming of our experience, there cannot be anymore a practicable continuity with the previous culture, but only a necessary 'encounter',  to  recover it as very communication and not only as pure information.

We declare that today the living being must become again the 'father' of his book and that his being out is the weapon of his new being creative protagonist.
Being out of the elements and self-reference are the consequence of the loss of credibility of the great references made today 'relative'. Dissolved the interpretative shared collective plan, which used to define the meaning of phenomena, now these impose the sense of their own existence outside.

Below a reassuring conformism,  out of the elements the individual  is retiring into himself to look for the guidance that the outside denies him.
Once broken the collective sharing determining  identity, the individual becomes self-referencing to protect it, threatened now by the risk of the homologation.

Out of elements, we want to compare ourselves with the other outsiders.
Self-referencing we want to experiment strategies to build  relationship among the self-referencing individuals.

We know that the trend is not programmable, but  it can ' happen'.
We are aware that the self-referencing individual is like a ventriloquist who uses the inside air to talk of himself to the outside; and it is actually this  we want to urge a starting relationship among the experiences that are now coexisting estranged, very often each of them locked in its empty being present and in the  exaltation of  its expositive impact.

We consider this the track to propose again a thought that, also in its new form compared to the past, can overcome the limit of the superficial factual knowledge,  in which the concept of culture has collapsed, and that can allow the individual to recognize his own coherence in the 'different one'.

We want to investigate the latent psychic dynamisms, that, below the diffused conformism, act as symptomatic and causal foundation of the value, in those behaviors and  conventional languages, whose representation alone  the society allows today.

We finally want to help these communications, today unheeded and latent, to find expression and citizenship in the recognized social culture.


Rome, Jan 9,2OO9