ARTE E SCIENZA
Alberto Gianquinto
Due sono i
modi in cui vorrei potere non affrontare questo tema, perché
entrambi, ben noti, anche ben poco possono offrire di nuovo all’argomento.
I) Il primo è
quello di presentare aspetti dell’arte, che, sconfinanti nel campo della
scienza, offrono l’ovvia idea che ci sia un terreno usato in comune o,
meno ovvia, l’idea che l’arte possa avere fornito, da un qualche dato
momento storico in poi, aspetti d’interesse specifico per la scienza; o,
viceversa, un modo di indicare aspetti della scienza che, per questi
sconfinamenti, possano aver dato all’arte qualche spunto di sua
pertinenza.
Portiamo
qualche esempio.
(1) Uno è il fatto che l’arte adoperi ed anzi
abbia forse contribuito a far crescere le riflessioni sulla geometria
(sia quella analitica – che consente di analizzare, attraverso
coordinate cartesiane, le forme nel piano e nello spazio – sia quella descrittiva
– che consente di rappresentare, attraverso costruzione, oggetti bi- e
tri-dimensionali sul piano) e, in quest’ambito, contribuito ad allargare
le considerazioni sulla prospettiva e sulle sue distorsioni (e penso a Maurits Cornelis Escher), o
sulla proiezione e sullo scorcio (Andrea
Mantegna, il Cristo morto di Brera, 1484 c.); o il fatto che l’arte
abbia adoperato la raffigurazione per quanto riguarda certi eventi
fisici (penso a Paolo Uccello, il Diluvio e recessione
delle acque e storie di Noè, Firenze, Santa Maria Novella, 1447-48).
E questo vale non solo quanto alla pittura, ma anche
nella musica o nella danza o nella poesia.
(2) Altro esempio è l’ottica della pura visibilità,
dove l’arte è intesa globalmente – in una formulazione teorica – come operazione
conoscitiva che si attua attraverso la ‘funzione’ visiva (Konrad
Fiedler, filosofo e critico d’arte [1841-1895] – Hans von Marées, pittore [1837-1887] – Adolf von Hildebrand, scultore
[1847-1921]); un punto di vista, questo, che va considerato anche con le sue
propaggini applicative, indagate nella storiografia da Heinrich Wölfflin
[1864-1945], dove rinascimento e barocco vengono intesi come forme
universali, riferibili a coppie di simboli visivi contrapposti fra loro
(per esempio, ‘lineare’ e ‘pittorico’, forma ‘chiusa’ e forma ‘aperta’, ecc.);
una lettura interpretativa, questa, che richiama alla più recente opera critica
di Gustav René Hocke (Malerei der Gegenwart. Der Neo-Manierismus. Vom
Surrealismus zur Meditation, Limes, Wiesbaden 1975), dove questa volta è il
manierismo ad essere preso come categoria artistica fondamentale e, con
esso, la contrapposizione classicismo-manierismo (o classicismo-asianesimo).
Anche qui: terreno usato in comune o anche riflessione e contributo fornito
dall’una all’altra (scienza e arte).
E all’ottica aggiungiamo allora le illusioni
ottiche, ancora una volta di Maurits
Cornelis Escher, con le sue applicazioni di topologia
all’arte (come: Il nastro di Moebius, esempio di superficie non
orientabile studiata dall’omonimo matematico tedesco, poi ripreso ancora una
volta in arte da Max Bill).
(3) E così possiamo rivolgerci alla intenzionalità
espressiva di Alois Riegl [1858-1905] (cfr. Problemi
di stile e L’origine del barocco a Roma) – dove si sostiene essere
un Kunstwollen a rendere originale l’arte romana, nel suo
confronto con quella greca, e non semplice imitazione di essa – e poi alla psicologia
della percezione visiva (dunque a Ernst Hans Josef Gombrich
[che assume la direzione dell’Istituto Warburg nel 1959]).
(4) E c’è, per finire, la fisiologia della
percezione dei colori (cioè la ricerca di Hermann von Helmholtz
[1821-1894]).
Insomma:
l’esempio più universale di tutto ciò è Leonardo,
con i suoi studi e le sue intuizioni sulle proporzioni, sulla geologia
e l’idraulica, sulla botanica, sulla fisica e sul volo,
sull’astronomia, ecc.
II) Il secondo
modo su cui non mi sembra che valga insistere ora più che tanto,
per quel che può offrire, è proporsi d’individuare un parallelo nei
comportamenti, nelle procedure o, addirittura, nelle strutture del
corrispettivo contrapposto ambito (arte o scienza).
E portiamo anche qui degli esempi.
(1) Uno
può essere l’introduzione nelle scienze – parallelamente alle teorie
sull’intuizione artistica ed estetica – di concetti come l’intuizionismo
di Leopold Kronecker e di Luitzen Brouwer nei
fondamenti della matematica (contro il rigore formale di Karl
Weierstrass e contro i numeri transfiniti e la teoria degli insiemi di Georg
Cantor, con esplicite accuse di misticismo) e l’intuizionismo
della teoria del tempo di Henri Bergson (quanto al tempo
della durata nella coscienza, a fronte del
tempo spazializzato proprio della scienza).
(2)
Altro esempio, nell’esperienza fenomenologia, l’intuizione eidetica,
sostenuta da Edmund Husserl (cioè, la visione delle essenze,
inseparabile dall’intuizione empirica dell’universale, secondo cui non si può
distinguere una visione particolare di
rosso senza avere presente il senso del rosso, cioè la sua categoria
universale).
(3) O
ancora, più indietro nel tempo, l’intuizione pura della Critica
della ragion pura di Immanuel Kant (cioè, la forma pura della
sensibilità: in altri termini, lo spazio e il tempo nella rappresentazione di
un corpo, tolta la sostanza, la forza, la divisibilità ecc.).
(4) E,
per continuare – parallelamente alle teorie sullo psicologismo nell’arte
– la psicologia a fondamento della matematica (secondo cui le
leggi matematiche sono spiegabili su basi psicologiche – con derivazione
dell’intelligibile dal sensibile e dell’ontologia dalla psicologia: John
Stuart Mill, Christoph
Sigwart, Benno Erdmann, Johann Friedrich Herbart).
(5) E
così il fenomenismo proprio dell’arte, parallelamente a
quanto accade nelle scienze, riconducibile sempre ad enunciati riguardanti
contenuti dei sensi. Secondo Ernst Mach, il mondo consiste di
colori ed altro, che non chiameremo né sensazioni né fenomeni, ma
elementi e questi sono oggetto della ricerca fisica, che è anche quello
di fissare il fluire di tali elementi.
(6)
Analogamente, parallelamente all’immaginazione nell’arte, l’immaginazione
in geometria (p. es., la retta o le parallele, se usiamo gli assiomi di
Euclide, richiedono modalità di costruzione delle linee, che sono
intuite, cioè usate tacitamente come regole di costruzione. Secondo
queste tesi, gli assiomi – come definizioni implicite – specificano cosa vada
considerato come loro esempi.
(7)
Ancora: pensiamo al concetto dell’analogia in arte e a quello dell’analogia
nelle scienze, dove si tratta di rendere intelligibile ciò che non è
familiare in termini di ciò che è familiare: questione, questa, che diventa un
problema della ‘spiegazione’ scientifica.
(8)
Infine un dovuto riferimento è alla sezione aurea. Questa è
terreno comune effettivo, non di semplice e astratto parallelismo, di arte e
scienza. In aritmetica, la sezione aurea φ = 1 + 1/(1 + 1/(1 + 1/(1 + … = (1+√5)/2 = 1,6180… ≈ 55/34 è il rapporto fra
due grandezze disuguali, di cui la maggiore è media proporzionale tra la
minore e la somma delle due; cioè: (a+b):a=a:b; ma vale anche che la minore è media proporzionale fra la
maggiore e la differenza delle due; cioè: a:b=b:(a-b). Si deve notare che il numero che esprime la sezione
aurea è irrazionale (cioè, non esprimibile sotto forma di frazione)
ed algebrico (cioè è soluzione di un’equazione algebrica, vale a
dire riconducibile alla forma P(x) = 0. Per esempio: √3 è algebrico perché soluzione dell’equazione x2 – 3 = 0; oppure –2/7 è anch’esso algebrico perché soluzione di dell’equazione 7x + 2 = 0. In geometria,
la sezione aurea è allora parte media proporzionale ‘b’ fra il segmento intero
‘a’ e la parte restante di esso ‘a-b’. Ma la sezione aurea è presente anche in zoologia,
p. es.: in certe conchiglie (nautilus),
dove la forma a spirale è fatta secondo i numeri di Fibonacci
(più precisamente: è data per approssimazione crescente, dal rapporto fra due
successivi numeri di Fibonacci, cioè è data dalla sezione aurea φ. Cioè: lim per (nà∞) di F(n+1)/F(n) = φ )
Cosa sono i numeri di Fibonacci? Sono i numeri interi naturali ottenuti nella
successione (di interi naturali) definibile per somma dei due antecedenti, una
volta assegnati i valori dei primi due (quindi, dati 0 ed 1, il successivo è la loro
somma 1, il
cui successivo è la nuova somma 1+1=2, da cui la somma di 1+2=3 e di 2+3=5 e di 3+5=8 e di 5+8=13 e di 8+13=21 , da cui 13+21=34 e poi di 21+34=55, per fermarci ai primi 10 numeri di Fibonacci).
Numeri, questi, dove la sezione aurea è l’approssimazione del rapporto fra due
termini successivi della loro successione. Sezione aurea, che è presente in botanica:
qui è la disposizione ‘a frattali’ degli elementi che compongono le foglie
degli alberi a seguire la sezione aurea, la quale segue un diagramma
logaritmico, analogo ai suoni di uno strumento monocorde. Ed è presente in astronomia,
dove tale è la distanza dal sole, nelle proporzioni della successione dei
pianeti interni o la distanza da Giove, nelle proporzioni della successione dei
pianeti esterni (e dove la distanza Marte-Giove segna i confini dei due blocchi
di pianeti). E ancora: sezione aurea nell’anatomia umana,
reperibile nella struttura ‘a nautilus’ della còclea dell’orecchio.
Infine, presente nella struttura della musica, seguita nella
scala ben temperata da Bach, ed usata parimenti in pittura, scultura,
architettura, la sezione aurea è al centro delle conoscenze
esoteriche dell’antico Egitto, è un canone di bellezza estetica, specie
dal ‘400, con Luca Pacioli e Albrecht Dürer, ma
nota già ai pitagorici, che scoprono come il lato del decagono, iscritto in una
circonferenza di raggio r, non è altro che la sezione aurea di tale raggio.
III) Altro modo di affrontare la questione
del rapporto arte-scienza è poi quello di cogliere quelle distinzioni
che fanno di questi modi due terreni invalicabili l’uno all’altro: ma
queste non sono né la creatività (che, sì, è diversamente
fondata, ma certo non terreno specifico e invalicabile), né la misura
(diversamente articolata, ma ben presente nella scienza e nell’arte), né –
certo – i meccanismi percettivo-visivi o i processi cognitivi. Semmai, ma
banalmente, lapalissiana è la diversità dell’attività produttiva:
rappresentativa e grafico-simbolica l’una, conoscitiva, teorica
e simbolico-formale l’altra.
IV) Produttivo sembrerebbe invece
l’approccio delle neuroscienze, in particolare nella
scoperta della funzione dei neuroni specchio (dovuta a Giacomo
Rizzolatti e Vittorio Gallese) – neuroni, questi, che
sono una realtà della fisiologia (la neuroscienza) e
riguardano sia la funzione nella scienza, sia anche
la loro funzione nell’arte, dove s’è visto che essi spiegano come mai ci si possa immedesimare in un’opera,
creativa come l’arte o creativa come un’indagine scientifica.
Terreni
d’esempio:
Emozioni
scaturiscono da nostre azioni; e sentimenti influenzano i nostri
movimenti: una ipotesi, che spiega e aiuta a capire il potere empatico,
sia delle immagini in quanto tali (per il desiderio di
impossessarsene), sia dei comportamenti (per il desiderio di
imitazione) nella scoperta e nella ricerca.
Così come Il
grido di Edvard Munch può comportare una voglia di urlare o
l’Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini una voglia di
toccare, altrettanto accade, quanto a partecipazione di emozioni e a
sentimenti d’entusiasmo, per la relatività generale e le ipotesi teoriche di
Einstein: un potere empatico di partecipare, sia delle immagini
(oggetti, cose), sia nei comportamenti.
Con ciò si deve tenere anche presente che
questa scoperta dei neuroni specchio e tutta la teoria neuroscientifica,
sia essa applicata all’arte, sia applicata al
linguaggio della scienza, non può spiegare né il complesso
dell’arte e della sua validità (la cosiddetta ‘bellezza’ d’arte) senza
un’ipotesi di creatività linguistica e senza una spiegazione storica e
sociologico-culturale dell’apprendimento (considerando essa soltanto stimoli
nervosi), né può spiegare l’insieme della scienza e della sua
funzionalità, senza un corrispondente linguaggio scientifico e le spiegazioni
sull’apprendimento e la funzionalità storico-culturale su di esso.
I neuroni specchio inviano
messaggi al sistema limbico (al sistema emotivo),
aiutando a sintonizzarci su sentimenti ed emozioni della
persona/figura che guardiamo o dell’azione/progetto e di certe
esperienze comportamentali che vediamo fare e che, empaticamente si
riflettono sul nostro stesso comportamento.
Possiamo forse azzardare l’ipotesi che,
dietro un giudizio di gusto (il giudizio estetico,
secondo Kant) c’è sempre l’operazione implicante il gusto
(sia esso per quello che intendiamo per bello, sia per quello che
intendiamo per scientificamente funzionale).
E più nascosto ancora c’è l’istinto
biologico di una capacità
funzionale delle mente di creare un linguaggio mentale
(artistico o scientifico), cioè costruito su un terreno innato,
ma individualmente adattato per selezione naturale, ma
anche appreso attraverso sintonizzazioni sinaptiche, e che sinteticamente
possiamo rinviare al kantiano giudizio di gusto.
Possiamo più semplicemente dire che una relazione
ai colori è un’esperienza (estetica), che spiega perché rispondiamo
meglio ai colori che non al bianco/nero; e altrettanto, che la relazione alla compattezza
di una formula come E=mc2 ci entusiasma più d’ogni altra, non
altrettanto storicamente risolutiva ed esplicita.
Tutto ciò non
fa più parte di una ‘estetica’ unitaria, ma appartiene, piuttosto, da un
lato, ad una implicita poetica individuale
e, dall’altro, ad una altrettanto individuale conquista
tecnico-funzionale.
Possiamo
riflettere su questo risultato.
Il riferimento neuroscientifico ci
disancora definitivamente dal problema hegeliano di una estetica
che, dentro una teoria generale dello spirito e del suo sviluppo storico, muore
ad ogni svolta d’epoca storica per rinascere con i caratteri del tempo
presente (Sergio Landucci). Così anche ci si allontana da un’idea
di dissoluzione dell’estetica nell’antropologia, nella sociologia o nella
psicologia. Altri (di ordine anti-metafisico) sono forse i motivi per lasciare
l’estetica filosofica e approdare alle singole poetiche.
E, procedendo ora oltre i temi posti dalle
neuroscienze, se l’arte è stata indagata come specifica forma
di linguaggio simbolico – da Ernst Cassirer e Susan
Langer – e se questo deve (o dovrebbe) anche valere per la scienza;
e, di nuovo, se l’arte è stata vista come coscienza
anticipatrice di un fine utopico (Ernst Bloch, Walter
Benjamin, Theodor Wiesengrund Adorno, Herbert
Marcuse), e se anche questo deve essere visto (ed è stato visto) valere
anche per la scienza (si pensi al mito settecentesco del
progresso, al positivismo, ecc.): perché allora non applicare
alla scienza il tema di John Dewey (che egli chiama
estetico) del momento fruitivo dell’esperienza nella arte
(senza scopi ulteriori quest’ultimo, ricco di scopi l’altro,
ma solo in quanto di funzionalità applicata)?
Se, come dice Gianni
Vattimo, dopo Hegel, l’interesse estetico s’è spostato
sulla categoria dell’apparenza, che vede la realtà sotto il segno del simulacro
(Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Walter
Benjamin), questo tema non riguarda più la scienza, perché è purtroppo
vero che, nel presente storico – oltre i punti di contatto che abbiamo cercato
e voluto individuare – fra arte e scienza (ma non
solo) è anche massimo il divario. Dopo la distinzione di Platone
fra episteme e doxa (distinzione, con cui nasce l’epistemologia),
il percorso della riflessione filosofica sulla storia del pensiero ha
(al di là dei vari posteriori rabberciamenti di fenomenologia ed ermeneutica)
la sua vera conclusione con l’Introduzione alle scienze dello spirito di
Wilhelm Dilthey (1883) e con la conferenza di Wilhelm Windelband,
Storia e scienza naturale, del 1894, dove si cristallizza e si
formalizza la distinzione e la separazione, ancora imperante fra scienze
dello spirito e scienze della natura.
E
vale, infine, precisare che, se l’arte appartiene alla
storia della cultura (secondo Jacob Burckhardt) o dello spirito
(secondo Max Dvořàk) – ma questo vale anche per la scienza
– essa stessa (arte), come d’altronde la scienza stessa, non sono
(per il fatto di appartenervi) storia della cultura o dello spirito.