Alberto Gianquinto
Alessandro Sbordoni. Musica come ‘fare’.
Oltre la tradizione aprioristica delle regole compositive.
In un precedente scritto[1], riferendomi alla semantica e alla
sintassi della musica, mi richiamavo alla svolta conclusiva di un’epoca, prodottasi
con la radicalizzazione di Schönberg e della scuola viennese. L’attacco alle
ormai secolari regole dell’armonia e della composizione veniva però condotto, anche
da tutti gli epigoni, con la costituzione di altrettante nuove e ancora più
rigide norme. Questa consapevolezza ha portato alla contestazione degli esiti, delle
soluzioni e dell’impostazione stessa di tutto il fenomeno viennese, già nelle
ipotesi di lavoro di Franco Evangelisti e nel gruppo di Nuova Consonanza. Alessandro
Sbordoni è da considerare un punto di riferimento di questa alternativa,
proprio per la sua radicalità: non si trattava di azzerare quanto era stato
fatto nella musica, ma di superare ed eliminare il relativo sistema rigido
delle regole; si trattava di ripartire dall’idea di musica come puro e semplice
‘fare’, un fare insieme sonoro, nel
quale la regola nasce contestualmente, quale ineliminabile prodotto gestaltico.
Un riferimento teoretico
evidente è rintracciabile nella lunga riflessione filosofica di Johann Gottlieb
Fichte sulla Dottrina della scienza, condotta
e sviluppata dal 1801 agli anni 1811-13 sul tema della autoriflessione attorno
alla relazione conoscitiva io-oggetto (conosciuto) e sul fatto che questa
operazione autoriflessiva è un ‘fare’ (eine
Tathandlung): così in musica la relazione del suono significante al suo
significato (il conosciuto) è autoreferenziale, perché il suono non significa altro che l’emozione con esso
significata. Dunque, questa autoriflessione sulla ‘conoscenza’ (sonora,
musicale) del significato è un atto pratico: sapere è saper fare[2], musicare è ‘fare’ musica. Chiaro è
anche il rapporto di questa impostazione filosofica con l’operazionismo[3]. Non si può parlare allora di musica di
‘ricerca’, come è il caso invece per
tutto l’approdo neo-regolativo che fa seguito alla teoria dodecafonica: la
musica vuole essere ora assolutamente vicina all’improvvisazione (e dunque anche
a gran parte del modo di fare della musica jazz): coglie se stessa nel suo
farsi e, per la tendenza naturale alla forma (Gestalt), le regole che usa sono provvisorie, locali e non-universali.
Come dice Sbordoni, la differenza fra la composizione musicale tradizionale,
compresa anche quella dodecafonica, fino alle manipolazioni elettroniche, e,
viceversa, quella che si vuole proporre è tutta fra visione ‘utopica’ della
musica (dei primi) e visione ‘profetica’ (dei secondi); e Sbordoni, già dagli
anni 1977 e seguenti, assieme a Guaccero e a Mario Schiano, genera su questa
traccia: si tratta di non cedere alla ‘sindrome viennese’, di non di cercare
nuovi suoni nella direzione di arricchimenti delle serie tonali verso quella
che sarà la cosiddetta “serialità integrale” di Boulez, a cominciare (partendo
dall’ottava dei 12 semitoni) dai 24 microtoni di Busoni, per giungere alle
esasperazioni microtoniche della Studie
II di Karlheinz Stockhausen e della musica elettronica; si tratta invece di
integrare lo spessore delle sonorità
nello stesso contesto autoriflessivo, di generare le complessità ‘impure’ dell’area
timbrica dei suoni (cercata e
altrimenti raggiunta, nel materiale
piuttosto che nel tipo di scrittura, da György Ligeti): generarla, nel percorso
del ‘fare’ creativo, prima di ogni cristallizzazione formale, regolativa e a
priori, delle serie sonore e timbriche.
Ecco allora il Sirius per bayan e orchestra (2009)[4], che, confermando l’ottava nel suo arco
di semitoni, genera la sua composizione in un gioco di unisoni in lotta fra loro, che si alterna a cicli di dodici battute con sei accordi (due ciascuna), fino alla successiva
sovrapposizione del gioco degli unisoni e dei cicli, dove allora entra in gioco
il ritmo (terzo ‘attributo’
fondamentale del linguaggio, assieme al suono
e al timbro. Come già ebbi a dire,
nasce in tal modo una forma, ma affatto precostituita in struttura prima della sua creazione operativa
e destinata invece ad estinguersi come tale subito dopo la sua creazione: tutto
è concentrato e concluso nella prassi
operativa dell’insonorazione, a
partire dal gioco dell’unisono del bayan, della sua espansione ad altri suoni,
del suo ritornare e del suo movimento, fino all’apertura al ciclo orchestrale,
che sblocca la sensazione di chiusura del movimento, lascia affiorare il ritmo entro il gioco dei suoni e dei
timbri sonori, si richiude generando la dominante atmosfera di implosione delle
forme musicali storiche.
Questo attuale punto d’approdo è un percorso che si sviluppa e si
prepara nel tempo, appunto dagli anni’70, ed i cui punti più significanti si
possono indicare in questa sequenza:
Angelus novus (1987,
per orchestra, in memoria di Italo Calvino; forma ciclica, “cosmica”, con
richiamo alle Cosmicomiche) – Riflessi per sei strumenti e grande orchestra
(1985) – Fantasie della lontananza (sei
canti da Emily Dickinson, per soprano e pianoforte) – Il fiume e il mare (1992, per vcello e clarinetto basso, per la
morte del padre; il titolo si riferisce al ‘Profeta’ di Gibran) – Durch die Liebe allein (1990, per
orchestra; progetto “cartoline a Mozart”; titolo da un verso del libretto del
Flauto Magico; nota perno mi bemolle magg., tonalità principale del Flauto
Magico) – De lumine (quartetto d’archi Bernini, da Terre dell’utopia, testo
di Alberto Gianquinto) – Virgo (2003,
per clarinetto basso e bayan) – ADCE
(2004, per bayan) – Meine Freude (2008, per bayan) – Janus (per 2 pianoforti e orchestra) – Jekyll (dramma musicale con fisarmonica concertante, testo di Lidia
Ravera) – Sirius (2009, per bayan e
orchestra) – Improvvisazioni (con il
flauto di Fabbriciani).
Volendo seguire un po’ a ritroso questo percorso, possiamo ricordare
che, nella prima delle Duineser Elegien,
Rilke si chiede: «Ma chi, se gridassi,
mi udrebbe, dalle schiere /
degli Angeli? <...> Voci, voci. Ascolta, mio cuore.
come soltanto i Santi / ascoltarono un
giorno <...> il soffio ascolta, / l'ininterrotto messaggio
che dal silenzio si crea»[5]. Non ci sono, forse, migliori parole
per capire la provenienza, il
senso ed il valore anche teorico
della musica di Sbordoni: Agnus I.
Im Absprung, lavoro che risale al 1995, riprende, ancora più consapevolmente
ed esplicitamente che nei
precedenti, il tema del silenzio
e del messaggio speciale che dal silenzio
scaturisce, dove gridare non ha ascolto e
prima di tutto occorre imparare ad ascoltare. È una lettura
di Rilke, ma del tutto innovativa, dove non si sottolineano i
significati espliciti e noti, fra Kierkegaard e Nietzsche, della
tematica esistenziale, della critica al tempo presente e al mondo
tecnico-industriale, bensì quelli, più profondi, del valore che la parola (il
suono) deve assumere, in un mondo dove tutto è rumore e dove si è
perduta la capacità d'ascolto. Né è casuale che la poesia di Rilke sia ‘innovativa’ proprio nella ricerca
di valori semantici nuovi della parola;
rinnovatrice, anche, per la consapevolezza del peso che quella ricerca viene ad avere sulle strutture
sintattiche, in cui si perde la
cristallizzazione aprioristica delle regole. Semantica e sintassi, come
nuovo più profondo approccio al tema,
classico ormai, ma anche superato, del rapporto contenuto-forma. Un rapporto,
che gioca anche a ritroso, nella forza della sintassi ad imporre a sua volta,
appena creata, una nuova più pertinente ricerca sonora-semantica, che rende
impossibile una regolazione cristallizzata della configurazione sonora appena
generata. Per riaffrontare il problema
della comunicazione, per dare
un oggetto che possa
essere anche davvero ascoltato, rigenerando dal rumore la
condizione teoricamente preliminare del silenzio, occorre «uno
‘sguardo’ tanto intenso da animare la marionetta»[6]. Questo è il vero problema: lessicale, di scelta di vocabolo (o
di suoi aggregati), che strettamente s'appoggi alle condizioni e alle
innovazioni grammaticali e sintattiche, prima di ogni aprioristica
cristallizzazione formale: unità, dunque, che garantisce e tiene lontano dallo slittamento
nello strutturalismo di radicali scelte espressionistiche o, sul versante lessicale-sonoro, in una sterile ricerca di sonorità pure e definitive. E questo è il punto teorico su cui Franco
Evangelisti insisteva; con questa
previsione: «procedendo per la via
impostata sulla dimensione
emozionale weberniana, che valorizzava
sempre più la brevità là dove la pausa allargava con sempre maggior
preoccupazione il vuoto, si sarebbe giunti in maniera inesorabile al silenzio»[7].
Quest'analisi vale come punto
d'arrivo della controtendenza musicale contemporanea e di partenza verso un
nuovo modo sonoro, che, per non cadere nella "sindrome viennese" –
che Sbordoni individua in quella musica[8] – ha bisogna di un Absprung, di quel ‘balzo’ rilkiano[9], in cui si raccoglie la
freccia che la corda regge per superarsi, per essere oltre se stessi.
Per comprendere il senso di questo
balzo, possiamo parlare di un’altra direzione
del ‘significato’ della musica, al di là di ogni precostituzione di regole d’armonia e
composizione, nel momento in cui la riflessione giunge a separare ricerca
costruttiva, strutturale, da sonorità espressiva. Massimo Mila, per esempio,
occupandosi del tempo e della memoria, in rapporto alla musica, e quindi del
linguaggio musicale, perde l'occasione di una lettura di Goethe, che va in
tutt'altra direzione, offrendo al contrario un'interpretazione attualistico-idealistica e cita: «non esiste un passato che si debba
richiamare col desiderio, esiste solo un perpetuo presente, che si foggia con
gli elementi potenziali del passato»[10]. Goethe non dà alcun senso
"attualistico" a questa frase; intende piuttosto il fatto che il
ricordo e l'immaginazione generano il
passato e il vissuto secondo procedimenti
che, diremmo oggi, non sono "reviviscenze di sensazioni" (nel
senso della critica sartriana
alla psicologia empiristica di derivazione humiana di Broca, Charcot e
altri), ma secondo procedimenti che sono invece possibili perché mettono in
movimento un bisogno di adeguamento ad
uno stato della mente, attraverso un'opportuna parallela ricerca semantica, il
più possibile adeguata all'idea o,
meglio, all'oggetto (operazione mentale) dell'immaginazione e del ricordo: immagine sonora, visiva, eidetica che sia. Da questo punto di
vista è assai poco comprensibile la
critica di Mila al segno, in nome
della sintassi: poco comprensibile, se
non alla luce, appunto, d'una sindrome viennese. Quando si rivolge a
Strawinsky, a sostegno della tesi, trova che nella sua Poétique
musicale, «ogni musica, cioè ogni nota, a seconda della sua posizione armonica,
non è che un seguito di slanci convergenti verso un punto definito di riposo»[11].
Ma questa tensione, occorre dire, non è
meramente sintattica, semplicemente perché
è già la "posizione
relativa" quella che assegna valore
semantico alla nota, così come alla parola e all'immagine.
Il punto non è quello di cercare la
coerenza interna (la logica sintattica) della
musica nell'esperienza vissuta (che è un problema diverso, di Gestaltung), ma quello di riuscire
ad esprimere ricordi e immagini
mentali, secondo valori semantici adeguati, nell’immediato fare, che riflette l’epistemologica considerazione del rapporto
autoreferenziale di significante e significato sonoro. E questo richiede
insiemi sonori e sequenze non qualsiasi.
La scelta semantica (nello spazio sonoro) si valorizza nel contesto sintattico della creazione immediata (del
‘fare’, cioè nel tempo della musica), ma più in
un contesto che in un altro; è così che una struttura può essere più adeguata d'un'altra a cogliere il valore e
lo spazio semantico voluto dalla
memoria o dall'immaginazione. La
sintassi, dispiegandosi nel tempo oggettivo, genera una sua temporalità, che
è tempo proprio della sintassi, nel tempo
oggettivo ed è funzione della diversa disposizione degli elementi linguistici. Criticare la musica quale linguaggio, per il
fatto che il linguaggio sarebbe segno semantico e dunque avrebbe valore
pratico-strumentale (in quanto simbolo
di un simbolizzato che dovrebbe essere fuori della musica), significa dimezzare, azzoppare la musica della sua
spazialità, per voler restarvi dentro: ma ciò che, per così dire, sta fuori (e che il
segno sonoro intende trasmettere) è proprio ciò che si
vuole dire, la propria immagine musicale, la memoria autoreferenziale, che
non può star fuori. Il linguaggio musicale è semantico e sintattico insieme o
non è: non si può asserire che la musica sia temporale per essenza: essa può
anche esaurirsi in un solo accordo e lì spegnersi senza alcun seguito; conta capire che dietro di essa c’è
il compositore e la sua personalità, capire come si costruiscano ricordi
o immagini, quale sia l'innovazione
necessaria a coglierli e come
si sviluppi, nel tempo, lo spazio che si è generato. Che ad un suono segua un altro
suono e nient'affatto un terzo, questo fatto non è meramente sintattico, ma già
semantico, perché legato al
senso dell'enunciato sonoro. Quando
Rudolf Carnap[12], una volta date le regole di formazione
d'un linguaggio, assegna le sue regole di trasformazione (cioè di
sviluppo), ha costruito una sintassi,
anzi un calcolo sintattico, quindi anche, se fosse il caso, una logica
musicale, in cui ogni enunciato è dimostrabile perché conforme alle regole di formazione già date, o derivabile
da quell'enunciato, perché da esso consegue, in base alle regole già assegnate di trasformazione (le
regole dell'armonia, del
contrappunto, dei timbri ammissibili, dei ritmi accettabili
e riconoscibili, di una melodia, che le regole d'una cultura considerano
ancora valida e non obsoleta): in astratto,
insomma, una sintassi, cioè un
calcolo, affidabile anche ad una macchina, una volta che le siano state
insegnate quelle regole. Ma, senza una dimensione spaziale-semantica del linguaggio, quel
calcolo è ancora vuoto.
Non c'è nessuna legge che lo
agganci al nostro ricordo, alle nostre immagini, ed esso non potrà mai riprodurle, cioè generarle, crearle,
portandole dall'oscuro piano psichico a
quello chiaro dell'espressione linguistica. E' a questo scopo che occorre generare, per processo autoreferenziale, il linguaggio semantico. E Carnap se ne
rese conto e così Tarski[13]
ed i teorici della lingua e del
pensiero logico. Se e quando tale linguaggio semantico sarà interamente
affidabile ad una macchina, avremo anche prodotto una macchina pensante (per la quale però, probabilmente,
occorreranno più livelli
semantico-sintattici, ciascuno
capace di gestire quello inferiore). Come è fatto
questo linguaggio? Possiamo dire, per quel che riguarda l'arte e la
musica (piuttosto che la logica
matematica o la riflessione neuroscientifica, campo in cui
nasce), che tale linguaggio, per ogni enunciato che sia
già stato costruito, trova un'interpretazione e che ogni interpretazione assegna
all'enunciato un valore che
soddisfa o meno un nostro
modello prefabbricato: avremo così enunciati validi o soddisfacenti (o, nel
loro sviluppo temporale, conseguenze, valide o
meno, di enunciati validi); ma, oltre a sapere, dalla logica matematica,
che non c'è, in generale, riducibilità
del calcolo sintattico al linguaggio semantico (lo ha dimostrato Gödel), sappiamo ormai
che è
la semantica a generare o riconoscere operativamente (nel fare) un'interpretazione
per un enunciato, a seconda che esso sia
adeguato al contenuto attuale (immaginazione
o ricordo) che si intende cogliere (un "simbolizzato", che è
di altro ordine del simbolo: in
musica, da un lato si tratta di
psichismi, dall'altro di immagini sonore; due piani che non sono confrontabili: l'unico confronto sensato è che
l'interpretazione possa assegnare valori
che consideriamo validi e soddisfacenti, o meno). Come si vede,
non si può concludere, con Mila,
che il segno semantico immiserisce la musica al suo valore
lessicale.[14] Anzi, il punto è fondamentale: quale
lessico? quale insonorazione?
quale nuovo valore di significazione assegnare ad un suono, ad una parola, già
impiegati in mille altri contesti? Solo in
un ben determinato contesto
spaziale, e solo in un certo
nesso temporale possiamo sperare di trovare valori lessicali-semantici
pregnanti, innovativi, sviluppabili in una
grammatica-sintassi, che può a
sua volta essere innovativa solo in quanto concorrente a quell'espressività che la ricerca lessicale
tenta di promuovere. Non c'è nulla sopra il suono e la successione di
suoni, se non ciò che essi possono ‘rappresentare’ nel momento operativo in
questione, dirlo-suonarlo nel modo migliore.
Appellarsi alla creazione, al genio,
alla musica in sé, queste sono
opzioni che non aggiungono nulla e non servono a chiarire.
Tutto il "mistero" dell'arte
sta nell'adeguatezza sintattico-semantica al proprio mondo catettico,
nel suo circuito autoreferenziale: nella
potenza del passaggio dall'immaginazione all'immagine sonora. Non ci
sono regole a priori per assegnare
interpretazioni agli enunciati, non modelli
di validità. D'altra parte, anche
nel campo della logica, l'interpretazione
ideale è quella che assegna il
valore di ‘verità’ all'enunciato (ed è un'interpretazione ‘modello’): ma questo
vale in astratto, perché, nell'ambito
dell'applicazione alla scienza, ciò
non esiste, non è raggiungibile, essendo ogni enunciato sempre
probabile, sempre ipotesi, prima o poi falsificabile, a vantaggio di una
migliore, più comprensiva.
E allora torniamo a Sbordoni. In Agnus I, più che il
suono stesso nella sua unità, l'elemento fortemente
influente sull'organizzazione
sonora, cioè sulla struttura, è
lo spettro del suono, la sua
decomposizione in elementi costitutivi, ma
non in sé e per sé, non nel suo stretto valore fenomenologico
‘spettrale’, ma in quanto segno correlato al prodotto di un atto della mente. Contro
quello che il compositore ha chiamato un procedimento
per accumulazione di
singoli elementi sonori, egli
suggerisce un altro procedimento: l'elemento sonoro è il
significante di un significato, riposto
nell'immaginazione e nella memoria: non è la memoria ad
essere elemento e strumento di unità e di unificazione strutturale; non è
la presunta temporalità e serialità della memoria a
generare l'unità sintattica; è l’immaginato,
il contenuto mnestico della struttura mentale che diventa
il referente ‘significato’, che
una parallela attività operativa
della mente (quella creativo-artistica)
intende raggiungere
attraverso il suono significante
e le sue connessioni spaziali e temporali
con altri suoni. La qualità e l'origine del suono, ma non in sé, bensì
solo in quanto segno
significante, operando sul versante timbrico, opera anche su quello
(armonico e) costruttivo. Insomma: la
tecnica formale-costruttiva si
origina dall'interno, dal fare e dal bisogno e dallo sforzo di
adeguare segni significanti al significato mnestico-immaginativo; non da regole
di scuola.
Ecco allora il suono di un Om
tibetano, l'allusione all'Ur-klang
dei romantici (quel suono originario, che avrebbe generato il mondo e portato poi a Wagner, a
Mahler e anche a Schönberg): qui, un mi bemolle lentamente aperto alla voce del
soprano, che attraversa tutto il pezzo con un canto sulla prima elegia rilkiana
in dialogo con un più
sommesso procedere sul nastro fra coro e
sviluppo sonoro, che si spegne in un
suono fra il mi e il fa e che,
dopo una lunga pausa, riprende, ora sul sol: "O Lamm Gottes, unschuldig" (candido agnello di Dio) cita un
corale, ripreso anche da Bach nei corali
di Lipsia, che si presenta ora come un
graffito, un'esclamazione che
proviene da lontano
e sgorgata dal profondo,
fortemente drammatica nella sua
pura allusione (mi-sol e poi fa diesis-sol): due grida subito
soffocate, due lampi tragici, sette volte ripetuti con intervalli
di tono diversi, che nessuna schiera di angeli potrà udire se non si
muove dal silenzio e da un diverso modo
d'ascoltare, quando dal silenzio soffia
un messaggio ininterrotto; e un insistere sul re, su cui anche si chiude questo
suggestivo pezzo. E il mi bemolle, con tutto il suo
significato espressivo, ritorna
in "... durch die Lieb' allein",
su cui è costruito tutto il brano,
rievocazione del mi bemolle
del Flauto magico[15]. Qui tutto il pezzo è una
trasformazione di questo suono dal basso verso l'alto, secondo una struttura di
trasformazione adottata anche in Alba.
Cantata sulla perdita del sacro (1992)
.
In Alba c'è una ricerca formale in cui deve tradursi la relazione
Diana (Afrodite) e pianeta Venere (stella del mattino), sulla base delle
proporzioni del "pentalfa", riconducendo la spazialità alla
temporalità come rapporto fra
la durata del tutto
e quella delle parti e poi di quella delle parti tra loro ed
infine riducendo una forma geometrica a forma sonora, decodificabile come disegno di tratti ascendenti,
discendenti e orizzontali, riconducendo la fissità spaziale dei
ritmi siderei al contenuto musicale e dando valori ai
movimenti (ascendenza, come
presagio nefasto; orizzontalità, come legge,
esercito, ecc.; discendenza, come dichiarazione d'amore,
crollo del tempio, morte di Alba, ecc.). Ecco
un nuovo, diverso, approccio alla forma, pensato al di là delle convenzioni
compositive, nel processo del fare:
lasciare emergere il "senso"
del segno geometrico astratto ed il suo
rimando a quel che avverrà.
Suono dunque, come lessico. Adorno, a proposito di Wagner
dice che elemento produttivo della sua musica è il suono
(sia come armonia, sia come
colore) e che esso ha il potere di confinare il tempo, cioè la struttura
sintattica, nel suo spazio semantico.
Per il suono «il tempo appare confinato per
incantesimo nello spazio, e come esso <suono> quale armonia
‘riempie’ lo spazio, così lo stesso nome di colore, per cui la teoria musicale
non conosce altro equivalente, è desunto dalla
sfera ottico-spaziale»[16].
Ecco l'analisi d'un modo in cui
la forza d'un lessico sonoro può operare sulla struttura temporale:
la musica qui regredisce al medium
atemporale del suono ed è la sua atemporalità
che le consente di svilupparlo, dice
ancora Adorno[17]. Impressionismo dell'armonia, ma
soprattutto scoperta della dimensione
coloristica e della strumentazione
come «partecipazione
creativa del colore»[18].
L'altro esempio è Mahler; anche
qui la novità sta nel rapporto con il suono:
«Esso impone alla tonalità
un'espressione di cui essa
non è più di per sé capace <...>
è la forzatura stessa che
diviene espressione. La tonalità
<...> Mahler la infiamma dall'interno, partendo dall'esigenza espressiva»[19]. E più oltre: «il linguaggio di Mahler
è pseudomorfosi in quanto si
distanzia a un tempo dal medium
oggettivo del suo vocabolario [c.vo nostro], facendogli
violenza per costringerlo, esorcizzarlo, ad acquistare una forza vincolante
ormai problematica in lui: è come uno
straniero che parli correntemente la musica ma con l'accento del suo paese»[20].
Due esempi di costruzione
semantica: suono come lessico coloristico e armonico, che raggela lo
strutturalismo temporale nella spazialità dell'ambiguità e della reiterazione;
e suono, invece, come forzatura espressiva sulla tonalità, violenza catettica sul
medium neutrale del lessico.
Sbordoni segue invece un'altra soluzione; non accetta
queste, che sono sul versante dell'espressione
e dell'emozione (la strada dei
romantici), così come non accetta
quella strutturalista della
seconda scuola viennese, e poi
dello sperimentalismo di
Stoccarda. E' il suono e
il suo spettro, con le sue
componenti fisiche, che genera se stesso,
si articola in un lessico, crea uno spazio sonoro che si dispone nel
tempo a partire dall'oggetto che si
vuole cogliere: “O Lamm Gottes, unschuldig”,
una serie di esclamativi, che emerge dal
suono di fondo, rigeneratore-ricostruttore, vi si sovrappone: un graffito nella grotta del suono originario.
Enunciazione, dunque, del problema della
parola e dell'ascolto; questa è una riflessione musicale sulla musica, sulla sua stessa
problematica semantica: un manifesto, ma non teorico universale a priori, bensì "autoreferenziale" e di alta
poesia, perché non intende
arrivare a sostituirsi intenzionalmente
alla critica musicale, ad esprimere in musica una teoria musicale (e, con
questo, Sbordoni si
pone fuori dalla
problematica e
dall'obiettivo dichiarato delle
avanguardie storiche: si veda, per esempio,
quel che dice
Argan su Rothko, Malevic, Ad Reinhard).[21] Suono come lessico, abbiamo detto:
e questo, oltre l'alternativa fra
espressionismo e sperimentalismo o, se
vogliamo, fra lessicalisti e strutturalisti. E teniamo anche
conto del fatto che,
sorprendentemente,
Schönberg, certamente strutturalista, assieme a
Kandinsky pone invece la musica
sullo stesso piano della pittura, fino a teorizzare che
del colore si ha una sonorità ed una musicalità, così come c'è una corporeità
nella grana e nella tessitura del suono;
appare con ciò scarsamente valutata la posizione di Schönberg sul ruolo
semantico della musica: «anche nella
musica <...> un piccolo cambiamento nella successione delle note, un
diverso modo di collegarle, ed ecco
che suoni prima scialbi risplendono di una luce sfolgorante,
o addirittura minacciano di mandare all'aria una forma che appena qualche
momento prima era ancora così solida»[22]: come dire più chiaramente
del potere del lessico sonoro sulla struttura sintattica,
nel farsi di essa?
Parole che avrebbero potuto
essere di Proust o di Debussy. Non possiamo accettare quindi la tesi di Adorno
d'uno Schönberg progressivo tout court
(e progressivo per gli stessi motivi per
cui Schönberg stesso aveva consegnato Brahms alla progressività) e d'uno Strawinsky
invece restauratore (per regresso
nell'arcaico, per ritualità ed estraneazione, per feticismo dei mezzi, musica
sulla musica e pseudomorfosi alla pittura: un'abdicazione della musica, questa,
secondo Adorno, che oltre a smentire la
formula del passaggio da un Debussy-impressionista ad uno Strawinsky-cubista, getterebbe questo pseudo-cubista indietro, all'impressionismo di Debussy: in
realtà, dice Adorno, «Strawinsky ha
ripreso direttamente la concezione a macchie
spaziali di Debussy e la tecnica dei complessi <...> è debussiana. La novità sta solo in questo
che si tagliano i legami di connessione fra
i complessi <...>. Le parti dei complessi spaziali
restano duramente in contrapposizione tra loro»[23].
Ma questa dicotomia di
contenuto semantico e di forma
sintattica viene per lo più
risolta in termini ancora vaghi e
oscuri, come si può osservare in Luigi Rognoni: «La decadenza
della forma è la decadenza dell'anima, cioè del contenuto; e il
crescere della forma è il crescere del
contenuto, cioè dell'anima»[24], un'identificazione di anima e
contenuto poco significante, in cui il
problema musicale è di non collocare le
cose una vicino all'altra, ma di poter anticipare la
conclusione, risalendo alle cause, nel
fare compositivo. Quando Sbordoni sviluppa linguaggi musicali in cui suono
e struttura sono aperti all'immaginazione, intende con questo, a mio
giudizio, non solo e non tanto il fatto
che l'immaginazione sia la fonte "creativa", ma soprattutto che essa
è anche
l'oggetto ‘significato’ di
quelle operazioni che, sul piano linguistico-musicale, hanno l'intenzione di
significare: operazioni di agenzie della mente, per dirla con Marvin Minsky[25], diverse dall'operazione che
ha generato quella immagine
o quel
ricordo: una inconfrontabilità
fra i due livelli operativi, che sta all'origine della tensione insolubile e
della perenne insoddisfazione che
l'artista prova nella
ricerca di adeguatezza del simbolo al simbolizzato. La sintassi, il
linguaggio musicale dal punto di vista
strutturale, si libera delle forme, non
in modo programmatico, ma solo dove e quando ciò sia necessario e venga
richiesto dall'esigenza semantica:
quello che Schönberg dice di Brahms: «asimmetria, combinazioni di
frasi di diversa lunghezza, numero
di battute indivisibile per otto, per quattro o anche per due,
cioè numero dispari di battute e altre irregolarità <...>,
<questa> liberazione del pensiero musicale dai vincoli formali [c.vo
nostro], <...> altre strutture asimmetriche, <fino>
alle particolarità ritmiche della
poesia» (tanto che la melodia deve rendere in qualche modo
il numero dei piedi nella poesia),
tutto questo vale per Sbordoni non come semplice «espansione dei rapporti di
parentela dentro una tonalità», non come semplice costruzione di frasi
lunghe, con deviazioni
nelle regolarità e nelle
simmetrie, verso una prosa musicale – ma quando Schönberg
parla di “prosa musicale” in realtà sembra più giustamente che intenda piuttosto
"verso libero" – ma vale come flessione della sintassi sulla semantica: non ricerca di bellezza
strutturale in sé, ma ricerca di strutture adeguate all'oggetto da simbolizzare
(cioè: Gestaltung). La progressività,
insomma, non basta che si ponga nella direzione d'una lingua musicale non limitata,
in sé e per sé, dalla forma: occorre che
si dia progressività nella
direzione di forme da non
limitare, perché debbono e solo così possono cogliere immagini e ricordi dell'immaginazione e della memoria[26]. E' solo a questo livello di complessità che può valere quel che Massimo
Mila dice sull'estensione delle modulazioni a regioni molto lontane dalla
tonica e sulla forma come argine[27]. E lo stesso vale per Stefan Schädler,
nel suo saggio su Brahms, tutto
orientato sull'analisi strutturale:
forma, in quanto principio d'organizzazione che si dà "nel
corso d'opera";
organizzazione come variazione; e variazione, non come mutamento d'un tema, ma come formazione
di strutture (rinuncia alle quattro voci concepite armonicamente: elementi che
si legano ad altre costellazioni dinamiche). Questa riflessione
critica rende possibile un diverso modo per tornare – nell'idea d'una
terza fase dello sviluppo del pensiero musicale contemporaneo – verso una tonalità contemporanea, attraverso
la riconsiderazione di quella
tradizionale, attraverso l'individuazione dei limiti da imporre alla complicazione
della musica: una riconsiderazione
importante, se non è (come sembra in
quel saggio) ancora vedere le cose senza
l'incomodo del problema d'adeguare simbolo e simbolizzato, cioè
se non è ancora un modo di vedere le cose o dal
lato del suono o da quello della struttura[28]. Molto indicativo è quanto dice
Sbordoni sul suono: fra scala temperata e sperimentalismo, il
problema non è esterno, ma quello di
riconoscere la sua istanza espressiva,
cioè il suo portato psichico-intellettuale; ciò
significa che il suono non è oggettivo, ma elemento lessicale di un
atto significante-semantico: per un verso c'è l'atto immaginativo e
mnestico che cerca espressione, per un altro verso c'è un
simbolo che deve esprimere quel simbolizzato psichico. Poi, individuata quella
che egli chiama la "liuteria", necessaria alla produzione di quelle
sonorità (e con ciò la finalità di scoprire eventualmente un suono nuovo, cioè
di inventare un nuovo strumento, se mai
possibile), scomporla nel suo spettro, essendo essa con-posta e
quindi con-figurata in una «configurazione
formale e costruttiva, adatta»,
adeguata proprio a
quella sonorità, a quel suono. E ciò vuol dire «farsi
guidare dalla forza che esso possiede nell'‘organizzare’ tutto il comporre»: gamma
della frequenza, intensità
(ricordiamoci di Mahler), timbro
(legato alla fonte del suono), armonici e ‘contesto’ semantico in cui si colloca e generatore, a
sua volta, di contesti sintattici: non
bloccato da schemi melodico-armonici
e tonal-modali[29].
In questo
contesto riflessivo e di ricerca concreta, punto chiave del pensiero di Sbordoni diventa
anche la questione del teatro, perché in
essa si ripropone il tema del significato, esteso alla
riflessione sulla
multimedialità. L'argomento nasce nella
riflessione sul senso
della musica moderna e sulla sua crisi: musica dell'angoscia. Problema è il modo della convergenza
di significante e significato e
dell'autonomia espressiva dei significati nel rapporto di un sistema a
un altro (danza, musica, parola,
immagine): un problema di intermedialità (come
nella liederistica dell'800, tra musica e poesia). La progressività di
Sbordoni nel senso dell'intermedialità sta nella sua non-chiusura in uno dei sistemi espressivi, ma nell'espansione
alle espressività di altri sistemi (musica tonale e non-tonale, suono classico
ed elettronico, in rapporti relazionali
e non presi in sé e per sé). Qui ritorna e si ripresenta il concetto di
"balzo" (Absprung), ora
come interazione di sistemi espressivi. Quindi progresso, nuovo terreno di
ricerca, non più come variazione, nel senso di Beethoven, o come apertura della forma, nel senso di Brahms, o
come raggelamento della forma nella
spazialità dell'ambiguità e della
reiterazione, nel senso di Wagner,
o come equivalenza dei toni, nel senso schönberghiano
della critica del sistema tonale,
ma come correlazione di forme
espressive, come «contrappunto di
differenti articolazioni formali»[30]. Questo è il senso di altri due lavori:
Lighea e poi La Sirenetta (neo-tonalità, ma in
relazione di "contrappunto formale" con il testo, la danza,
l'immagine scenica e la tonalità stessa, dentro la musica).
Autonomia delle diverse forme e articolazione di articolazioni nei diversi
settori; questo crea una nuova esperienza
semantica ed una nuova complessità
del discorso sintattico: «n-esima
potenza dei codici», un chiaro significato dell'intermedialità nella
multimedialità dei significati. Istanze
formali e sostanziali
(sintattico-semantiche) connesse (secondo l'asse verticale della
combinazione significante, di Jakobson); e poi connessione di sistemi
espressivi (secondo l'asse orizzontale della selezione dei significati, di Jakobson).
Cercare una connessione di significante e significato sul piano formale-espressivo così come sul
piano dei contenuti e poi la connessione
fra le due connessioni; pluralità formale
dei sistemi espressivi e
pluralità dei loro contenuti: ciascuno
per sé, ciascuno sullo
stesso piano di valore (musica,
immagine scenica,
parola-canto, danza e mimica).
Questo, il risultato operato di Lighea e di La
Sirenetta, melodramma danzato, dove le figure, i personaggi sono insiemi di linguaggi
soprattutto (racconto=giornalista,
professore=canto, sirenetta=danza) e dove ogni contenuto espressivo dei settori
media con gli altri, generando
l'interattività e
l'intermedialità. Questo, un risultato del nuovo volto della musica contemporanea. Qui
s'inserisce anche un’opera precedente: Sull'orlo
della tua memoria (1994), mentre, ancor prima, Alba, cantata sulla perdita del sacro (1992) esplicitava ed
evidenziava, non la perdita
di religiosità del
mondo contemporaneo, ma la reificazione attuale del mito e del simbolo:
in altre parole, un nuovo modo di riflessione meta-musicale, perché, attraverso queste
opere, si è venuta elaborando
una costruttività pragmatica sul nuovo volto della musica.
[26] A, SCHÖNBERG. Stil und Gedanke, Herausgegeben
von I. Vojtech, Fischer
Taschenbuch Verlag, s.d. Cfr.
anche S. SCHÄDLER, Technik
und Verfahren in den "Studien für
Pianoforte: Variationen über ein Thema von Paganini" op. 35
von Johannes Brahms, in Musik-Konzepte
65 Aimez-vous Brahms "the progressive"?, pp. 3-23. Per le citaz.,
nell'ordine, pp. 75-77, p. 62 e pp. 67-69.
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