giovedì 26 aprile 2012

La poesia nella evoluzione inconsapevole (Angelo Sagnelli)





Tutta la poesia del novecento muove alla ricerca di un linguaggio nuovo, quasi volesse imprimere segni, orme, e suoni di stampo diverso e diversificato.
Così tutte le avanguardie, le postavanguardie ed il novismo trionfante hanno cercato, e tuttora cercano, l’introvabile linguaggio poetico per una poesia prosaica, poco attenta ai contenuti, dove la forma diventa sostanza e dove il suono privo di armonia a volte stride.
I valori sociali, un tempo condivisi, hanno perso forza attrattiva, ed ora le verità e le futili certezze, sembrano disseminate su terreni scoscesi ed impervi.
Eppure ancora oggi si ripropone, e con maggiore insistenza, la ricerca affannosa dei linguaggi poetici.
Io credo che il linguaggio non sia il punto di arrivo, o per meglio dire il traguardo ambizioso di chi volutamente vuole fare poesia.
Esso è l’espressione della società che cammina ed evolve inconsapevolmente, ed è certamente uno strumento della più ricca professionalità del poeta, indispensabile per il facimento del verso e per la sua musicalità, ma in definitiva,  rappresenta soltanto l’involucro del sogno o della sensazione che è propria della poesia.
Oggi, dicevamo che non vi sono più ideali o valori condivisi dalla generalità dei fruitori dell’arte; c’è soltanto l’autoreferenza degli scrittori che non accettando il confronto, contribuisce ad alimentare uno spaesamento totale, che non arricchisce, ma isola.
Una volta si sosteneva, che il poeta era tale se possedeva la vivacità e la ricchezza di un mondo poetico. Ed il mondo poetico era la luce, il sapore, il profumo di un pensiero, che il poeta riusciva ad esprimere attraverso il suo linguaggio. I poeti un tempo erano considerati un dono degli dei; essi erano uomini saggi, ricercatori del mistero e attenti conoscitori della vita,  e il loro linguaggio per questo motivo doveva essere compreso da tutti. Oggi giorno i poeti sono tantissimi e il loro linguaggio, spesso  prosaico o incomprensibile, è privo dei contenuti propri di una società che evolve rapidamente a causa della continua velocità degli scambi.
Nel nostro tempo non vedo poeti impegnati a valorizzare o a promuovere nuovi spazi culturali o le così dette scuole di orientamento, dove i giovani emergenti, possano trovare accesso per un costruttivo confronto generazionale .
Questa necessità era molto sentita nei decenni postbellici del secolo scorso, basti pensare ai caffè letterari, o alle sedi delle tante riviste nate non a caso su tutto il territorio nazionale, dove i poeti e gli artisti si accapigliavano per l’appartenenza a un movimento, o per  una idea non condivisa. Questi luoghi di dialogo e di scontro oggi sono rarissimi, e questo la dice lunga. Non credo che abbia ragione chi sostiene, che la voglia di partecipare a tavole  rotonde, o a frequentare ambienti letterari sia venuta meno anche a causa delle maggiori difficoltà, che s’incontrano per arrivare nei  centri storici delle grandi città. Credo piuttosto che l’interesse sia caduto, perché nei poeti scarseggiano le idee. Oggi, più di ieri, si affronterebbero sacrifici maggiori, per poter esprimere o ascoltare le proprie o le altrui sensazioni.
Il provincialismo letterario ha le sue origini nell’isolamento, nel non dialogo, nel promuovere non più accademie, ma incontri da parte delle  varie e tante associazioni letterarie, il cui unico interesse  è abbeverarsi alla fonte inesauribile delle istituzioni. Da qui i tanti premi di poesia, necessari per apparire o per spillare quattrini a quei poveri poetastri, che si ritengono poeti di rango. La verità è quella  che è emersa sopra: l’assoluta mancanza di pensiero, la superficialità, la dissolvenza poetica. Detto questo posso però sostenere  di non essere pessimista, e di credere  ancora nell’uomo/poeta, nell’artista, nell’uomo di cultura, anche se in questo secolo vince il consumismo  a discapito dei contenuti e della profondità di pensiero.
Ogni rinnovamento letterario ha le sue radici nel mutevole sentire della società civile; il rimetterlo in discussione, nasce dalla necessità di pochi; di quelli che avvertono l’opportunità di un immediato   cambiamento di rotta, non tanto per urlare al rinnovamento fine a se stesso, cosa abbastanza ignobile e stupida, quanto piuttosto per l’aver percepito prima di altri l’esaurirsi delle risorse intellettuali, etiche, morali che avevano determinato la precedente crescita.
Va sottolineato che non esiste l’attesa del rinnovamento, perché questo avviene spontaneamente, senza che ce ne accorgiamo. Piuttosto esiste la consapevolezza di vivere in un periodo in cui emerge soltanto la superficialità, l’apparire, il cercare le amicizie adeguate per imporsi e trionfare in tutti i campi. E questa consapevolezza ci porta a credere o a sperare che qualcosa dovrà per forza cambiare in un prossimo futuro.
E’ vero che la società senza un impulso utopico è destinata a ristagnare, ma deve esserci anche chi è in grado di dare questo impulso. Va anche ricordato che molte società, proprio per seguire impulsi utopici o utopistici, si sono trovate in conflitto tra loro, determinando guerre catastrofiche.
Dobbiamo essere uomini liberi, e pensare che esistono tante diversità nel mondo, diversità, si badi bene, che sono la  ricchezza dell’umanità, la vera forza trainante. Per condividere con gli altri, degli ideali da perseguire, bisogna prima di tutto aver lavorato a fondo, e con continuità dentro se stessi, aver studiato e riflettuto, ed essere consapevoli che qualsiasi ideale o valore culturale è soggetto come tutte le cose al tempo e al logoramento. Per questo motivo non si può parlare di ambizione di un letterato, ma piuttosto della capacità che questo può o potrà avere nel tracciare, a volte anche inconsapevolmente, nuove strade culturali con le sue stesse gambe. Il poeta o l’artista in generale è tale se avverte la necessità di partecipare la propria creatività agli altri, come un’offerta o come un dono, il cui unico corrispettivo si evidenzia in una forte stretta di mano o nel ricevere un grazie, uno sguardo illuminato, o un semplice sorriso. Dobbiamo dire anche, però, che per avere artisti veri, è necessario creare strutture adeguate per far germogliare le più vive intelligenze. E questo è compito di chi dirige la società, cioè della politica.
I politici dovrebbero comprendere che i cittadini non sono soltanto dei consumatori di beni e servizi, ma anche delle persone che pensano e che sognano, che si pongono problemi esistenziali, che sentono e scrutano il proprio io profondo, che amano se stessi, gli altri e tutti i componenti della  natura che li circonda, consapevoli che il tempo della vita è sempre troppo breve per conoscere e per apprendere.
Ritornando alla poesia, posso infine dire che essa segue, come del resto ha sempre seguito, infiniti rivoli. A volte è morale, a volte è civile, a volte è religiosa, a volte esalta la bellezza, a volte stimola a fare, a volte è patriottica e  a volte  riveste carattere universale.
I linguaggi della poesia sono svariati, come svariate sono le sensazioni poetiche. Il voler per forza rinnovare il linguaggio poetico è una frenesia non condivisibile. Il linguaggio, come detto all’inizio di questa mia trattazione, segue il sentire condiviso delle cose, ed è la stessa società che lo determina in continuo mutamento. Creare volutamente canoni nuovi non condivisi dall’attuale società, non significa essere all’avanguardia, ma credere che l’innovazione forzata si identifichi essenzialmente nel rinnovamento formale, svilendo così i contenuti, che in tutt’uno collegati con questa, rappresentano i pilastri comunicativi della poesia.
In ultimo vorrei sottolineare che la comunicazione della poesia avviene attraverso i suoni, questi creano un’onda che viene percepita dal nostro sentire. La melodia è propria della musica. Oggi noi apprezziamo le musiche del passato e le attuali, proprio perché entrambe risultano gradite ai nostri orecchi. Ed è così anche per la poesia. L’endecasillabo resta e resterà il verso più apprezzato proprio per la bellezza e la perfezione dei suoni. Per tanti secoli esso è stato condiviso ed apprezzato da quasi tutti gli scrittori. E’ giusto e doveroso rinnovarsi, ma che il rinnovamento non significhi imporre suoni striduli, aspri o sgradevoli per il solo scopo di voler apparire per forza  riformisti.
Le riviste letterarie devono promuove tutte le attività poetiche, mettendo  in luce i pregi ed i difetti accertati e condivisi dalla critica corrente. Saranno i lettori a dare più credito a questa o a quella rivista secondo la loro percezione e la loro sensibilità. Oggi le riviste letterarie, nate non per esaltare i propri poeti, che spesso sono gli stessi componenti della redazione, ma per promuovere le iniziative e le nuove tematiche della poesia e della scrittura in generale, hanno il dovere di criticare e di stroncare là dove è necessario, ma anche di far conoscere i veri talenti, spesso oscurati o trascurati dai tanti critici d’arte troppo impegnati in attività più lucrative.
Io non credo e né avallo il giudizio espresso da Javier Marias, 57 anni, scrittore spagnolo, tradotto in tutto il mondo: “Gli artisti, scrittori, poeti o scultori che siano, sono una categoria autodistruttiva. Sono aridi, narcisi, megalomani, provocatori, noiosi, sicuramente peggiori delle loro opere. Non c’è motivo di ammirarli. ”  (dal Corriere della Sera pag 56 del 15. Febbraio 2009). Spero vivamente che ciò non sia vero, ma riflettiamo con la dovuta umiltà.


                                                                             Angelo Sagnelli

Nessun commento:

Posta un commento