Riflessioni sul Manifesto
dell'Associazione "in tempo"
di Carla Mazzoni
di Carla Mazzoni
Qualcuno rimprovera al nostro Manifesto
di non essere sufficientemente chiaro.
"In tempo"
è un'Associazione culturale, quindi, ovviamente,rispetto ai grandi problemi
della nostra società, i nostri obiettivi sono limitati. Ma il nostro messaggio
è stato espresso chiaramente: a volte quando le parole ci sembrano oscure è
perché non siamo pronti a recepirle, non siamo pronti per quel messaggio.
Noi ci proponiamo di mettere a fuoco i vari aspetti nei
quali certi problemi che possiamo definire “epocali” si manifestano nel nostro
tran-tran di tutti i giorni e ci aspettiamo che molti altri intellettuali e
comuni cittadini si uniscano a noi in questa indagine. Un'indagine che
oltrepassi quella distanza che quotidianamente separa l'informazione dalla
realtà.
Noi vogliamo far emergere il
“disagio” -e
quando parliamo di disagio non ci riferiamo ovviamente a quel genere di disagi,
sociali ed individuali, che la recente crisi economica ha aggravato e che sono
tema di studio degli economisti- ma a quel genere di insicurezza,
che noi consideriamo realtà oggettiva, e che possiamo
riscontrare anche ai piani alti della più benestante delle società attuali.
Quindi nostro compito è cercare di indagare per individuarne le cause.
Tenendo presente che l'odierna quasi istantaneità tra causa-effetto
tende a farne scomparire la distinzione,
cosicché quando sembra di essere al cuore del problema in realtà se ne
stanno prendendo in considerazione ancora solo le frange.
Innegabilmente, la grande novità del
nuovo millennio è l'essere scavalcati dalla velocità della macchina
SOCIALE globale: Internet, la globalizzazione commerciale ed i
nuovi flussi migratori stanno trasformando la SOCIETÀ UMANA IN UNA
MACCHINA la cui velocità sta iniziando a scavalcare quella degli individui.
Tutti ricordano quelle scene del film
“Tempi moderni” nelle quali Charlie Chaplin finisce col venire travolto dal
ritmo vertiginoso della macchina alla quale è addetto. Ovviamente questo
problema è datato, “Tempi moderni” risale a più di settant'anni fa.
Ma è certo che nel momento in cui le
macchine corrono più
veloci di noi il controllato
prende il sopravvento sul controllore.
Sono occorsi secoli per capire ed
arrivare a sfruttare le potenzialità del "fuoco greco" nascosto sotto
i deserti del medio oriente, ma oggi se viene scoperto un giacimento in
Kirghizistan, nel giro di qualche settimana troveremo là una cittadella
estrattiva con tecnici ed operai di tutte le razze, e una rete di computer che
un satellite connette in real-time con il mondo intero, e un guasto di un'ora
negli impianti farà oscillare la borsa di Tokio e l'ultimo esponente di una
famiglia di samurai commetterà suicidio per aver perso una fortuna in titoli
energetici.
In metereologia si suol dire che
"Oggi il battito di ali di una farfalla in Etiopia può provocare un
tornado in Oklahoma". Questo non è dimostrato, ma è ormai certo
che nella nostra struttura socio-economica il tornado segue immediatamente
al battito d'ali. Questo ci rende consapevoli e responsabili anche di
quanto accade lontano da noi, dall'altra parte del pianeta.
Ma dietro il palcoscenico dello
spettacolo globale, ci sono problemi individuali nei quali i ritmi della
macchina globale si insinuano in modo a volte evidente, a volte più sottile.
Allora il nostro obiettivo è sviscerare le sottigliezze del delicato
rapporto psicologico e culturale tra individuo e macchina globale.
In tal senso, noi ci riproponiamo,
attraverso una serie di incontri allargati a tutte le discipline e ai vari
livelli della società, di far emergere concretamente quel disagio
latente che agisce oggi nel profondo degli individui, individui colti
da “analfabetismo emotivo” (Z.Bauman), che non sanno più riconoscere e dare
un nome alle proprie percezioni, individui affetti come noi da un permanente
senso di insicurezza e precarietà.
L'essere umano si è sempre adeguato
alle richieste dell'ambiente. L'adattamento implica cambiamenti fisiologici,
ma prima di tutto psicologici e culturali.
Che genere, o quali generi, di “Sapiens
Globale” sono in gestazione?
Alcuni hanno affrontato il
cambiamento prima di altri: lo hanno
interiorizzato prima o intuito prima, ad esempio
McLuhan o filosofi, le cui idee sono
precedenti alle realtà in oggetto e che sembrano aver guardato il mondo di oggi
in una sfera di cristallo, e alcune categorie professionali, ad esempio i
fisici nucleari, che si muovevano già nei primi anni '80 in quella che oggi è
divenuta realtà universale.
Persone oggi 50/60enni che sono
cresciute abituate a comunicare con gli altri in inglese attraverso schermo e
tastiera, a cercarsi le informazioni non su giornali e riviste con ormai un
ruolo solo di memoria storica, ma in rete.
Questi scienziati hanno sperimentato
tra i primi la frustante velocità con la quale le proprie scoperte sono rese
obsolete dalla comunicazione elettronica: nel giro di tre mesi i risultati
delle ricerche di un gruppo vengono appresi, riadattati e aggiornati da altri
gruppi.
E tutti si ritrovano come surfisti
perennemente condannati a cercare di non perdere il contatto con la cresta di
un'onda che corre più veloce di loro.
Ma l'accelerazione del meccanismo, il
così detto “web 2” -l'insieme di tecnologie che mettono alla portata di
un bambino di dodici anni la realizzazione di un sito web o l'organizzazione di
un social network- fa si che ognuno di noi può trovarsi ad essere utente
e competitore degli altri, dove gli altri sono una platea ben più
ampia del circuito cittadino. Questo ci trasforma tutti in surfisti, perennemente
all'inseguimento della cresta di un'onda che noi stessi contribuiamo a
far avanzare.
Il muoversi sempre più in una rete
transnazionale con controparti sparse per il mondo, "chattare" in
inglese o discutere con qualcuno che non si conosce e che si trova dall'altra
parte dell'emisfero ma che ha influenza sulla tua vita e sul tuo lavoro, sta
diventando realtà diffusa.
I gerghi professionali si riempiono di
parole esotiche, ed anche la mentalità degli addetti ai lavori finisce per
popolarsi di schemi di pensiero di remota origine. Tutto ciò è molto lontano da
quello a cui i nostri genitori o gli insegnanti ci avevano preparato. Gli
antichi punti di riferimento sono scomparsi e l'individuo non può
che trasformarsi in individuo autoreferente.
Tutto allora sembrerebbe disegnare il
profilo di un essere umano altamente competitivo, come recita una
famosa canzone di Vasco Rossi “macchine
veloci, genti più capaci”, ma poi la stessa canzone ci riporta a terra
“non so che darei per vivere su
un'isola”: l'essere umano, non è fatto IN MASSA per vivere di eterna
competizione, e la sensazione di molti di noi è quella di una
legge della giungla globale, nella quale si sopravvive come il leone
e la gazzella del proverbio africano, fino al giorno che si sarà capaci di
correre.
Nel momento in cui TANTI hanno
un'abilità,i POCHI che non ne sono in possesso si ritrovano marginalizzati.
Oggi, il rapporto élite-proletariato culturale si è rovesciato e i POCHI che non sono in grado di usufruire
delle nuove tecnologie fatalmente si ritrovano spaesati.
Questo ha finito per radicalizzare
l'antico timore dell'individuo di mezza età verso l'incombere prematuro
della propria obsolescenza professionale o sociale.
Non che la controparte dell'anziano, il
giovane, viva con maggiori certezze. Il ciclo di vita delle competenze
professionali “update” è decennale al massimo, la competizione con manodopera
straniera, magari all'estero dove è lo straniero che gioca in casa, rendono
estremamente difficile per lui l'inserimento nel mondo del lavoro o una
formazione culturale mirata. Inoltre,
è evidente che la partita di una
formazione appropriata non si chiude con una laurea o un diploma.
Noi, dell'Associazione "in
tempo", ci riproponiamo di confrontarci con questi giovani -“parcheggiati” nelle università, nei call
center,nel precariato o in frustante convivenza familiare- affetti da quel
disagio psicologico e culturale di cui parlavamo inizialmente, vittime
di una società che non sa dare senso al loro orizzonte e
alla loro vita.
“Abbiamo fatto il nostro raccolto, ma
perché tutti i nostri frutti si corrompono?” (Nietzsche).
E' questa la domanda che anche noi dobbiamo porci e
a cui cercare di dare una risposta.
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